In molti ormai conoscono il ruolo che ricopre chi ha fatto dei social media il proprio ambiente di lavoro. Inutile aggiungere altro alla schiera dei tanti articoli che si trovano online sul significato del social media manager.
Dirò invece l’idea che mi sono fatto io, incontrando in tanti anni di lavoro almeno 4 tipologie distinte:
Il #Bellaraga!
Il primo, forse quello più vicino all’immaginario comune, è un giovane fan-cazzista che si diverte a pubblicare e condividere ogni fake news gli capiti a tiro, conosce un sacco di persone ma nessuno veramente. Ogni tanto chiede un compenso per aiutare l’amico del cugino a seguire il suo profilo aziendale. Ok, questo modello non è neanche da prendere in considerazione lo so e spero proprio che ce ne siano sempre meno in circolazione.
Il “te lo faccio, ma non mi assumo responsabilità”
Un povero cristo che già ne aveva di cose da fare in ufficio e così, un bel giorno, arriva il capo che non vuole investire nel marketing – ma ha sentito da qualcuno che i social vanno forte – e decide di mollare la patata bollente all’ultima ruota del carro in azienda… “già che ci sei, tra una fattura e una telefonata, ogni tanto posta qualcosa sulla fan page aziendale!”. Praticamente una comunicazione a senso unico, senza nessun criterio né conoscenza degli aspetti tecnici, senza alcun controllo sui commenti o sulle recensioni.
Lo fa, perché lo deve fare.
Il Guru digitale
Quello che lo fa di professione, lavora per chiunque, anche dovesse trovarsi dall’altra parte del mondo. Promuove in tutti i social consumando budget per campagne PPC e per raggiungere nuovi followers. Sventola ai quattro venti il numero dei like raggiunti nelle proprie pagine come una bandiera, monito indiscusso che peserà come il piombo nei suoi preventivi.
Followers e fan sono il suo credo, diventare influencer il suo sogno nel cassetto. Parla di vanity metrics e di lookalike audience pubblicando ogni genere di argomento serva a totalizzare più interazioni possibili. A volte, anzi spesso, utilizza bot automatici pur di aumentare le metriche.
Delle aziende che segue e di come lavorano sa ben poco, giusto il settore di mercato. Sa poco o nulla anche delle persone che ci lavorano e del modo in cui lo fanno ignorando che sia proprio questo uno dei punti chiave dello storytelling aziendale.
Risponde alle recensioni per i loro clienti con lo stesso stile, sia che vendano barche o patatine fritte!
Gli importa solo di aumentare il numero dei like e forse ogni tanto si interessa anche delle conversioni… quando ce ne sono.
L’Intrepido
Il quarto profilo mi è un po’ più simpatico. Lo trovo più ruspante e lo ammiro perché ci mette tutta la sua buona volontà. Non conosce benissimo i termini tecnici, né l’uso corretto degli hashtag, conosce però chi gli affida il lavoro personalmente, parla con i dipendenti, si informa, fa anche delle foto, cerca di proporre nuove idee e anche quando gli vengono bocciate continua a cercarne di nuove. Risponde ai commenti e alle recensioni meglio che può, avvisando poi il cliente che, invece di stargli dietro, spesso lo ignora. Chiede a tutti quelli che conosce di aiutarlo a condividere i post cercando di evitare le foto penose, ovvero quelle che gli altri usano al solo scopo di tirare su i “mi piace”. Lui, cerca invece di trasformare foto e informazioni in un vero storytelling, per dare alle pagine che segue un’anima tutta loro!
Il suo credo? Preoccuparsi costantemente che, il lavoro svolto serva a convertire, tanto da non dormirci la notte!
Anche se è nato da poco in questo settore e non passa le giornate tra le statistiche a quantificare le metriche dei post, fa di tutto per diffondere il brand dell’azienda che gli ha dato fiducia.
Ovviamente mi sono divertito ad estremizzare cercando di riassumere i generi… c’è chi unisce il maniacale controllo delle metriche dei “Guru digitali” alla sensibilità umana degli “Intrepidi”, l’ideale sarebbe evitare di non assomigliare mai ai primi due e soprattutto di non rivolgersi mai ai primi due!
Ma ora veniamo alla domanda più importante, come si fa a riconoscere un bravo Social Media Manager?
In effetti non è così semplice. Uno dei fattori più importanti per fare questo lavoro è la creatività contenutistica e l’unico modo per saggiare la creatività dei contenuti è valutare il coinvolgimento ottenuto dalla gestione di altre pagine fan.
Un bravo SMM dovrebbe innanzitutto analizzare il profilo da cui parte, la reazione degli utenti e le conversioni ottenute, conoscere l’azienda o il professionista e il modo in cui lavora con i suoi punti di forza e non.
Dovrebbe soprattutto conoscere l’obbiettivo del suo cliente che non è sempre quello di vendere di più e subito! Può essere anche la diffusione del brand o dare un supporto alla customer care.
Fatto questo, il SMM dovrebbe presentare e far approvare un piano redazionale al cliente per conoscere fino a che punto si potrà spingere. Ad esempio nel caso di un hotel si fa per stabilire le date di pubblicazione delle offerte o in che modo verranno gestite le recensioni.
Fare questo tipo di lavoro una sola volta a settimana con un post, non serve a nulla, facendolo invece tutti i giorni e più volte al giorno si rischia di perde per strada qualcuno.
La gestione va svolta in simbiosi con l’ecosistema aziendale mantenendo in costante aggiornamento il cliente/referente su tutto ciò che verrà pubblicato. Io per esempio propongo post utili a stimolare i feedback o contest tematici per coinvolgere meglio gli utenti.
In fine – minimo una volta al mese – non potrà mancare un report su quanto fatto e sui risultati raggiunti per aggiustare il tiro se serve. Le campagne a pagamento su Facebook cioè le “Facebook Ads”, non dovrebbero essere proposte per una fanpage agonizzante, con pochi post, senza interazioni e con 100/300 mi piace. Una pagina così andrebbe rianimata prima con un bel defibrillatore, che in parole povere significa almeno 2/3 mesi di gestione social per ottenere buone conversioni dalle campagne.
L’errore più comune? In questo caso è anche il più grave.
Mollare, una volta raggiunti i primi risultati credendo ormai di campare di rendita! Neanche la Coca-Cola Company si permette questo lusso!